Anniversari del Santuario
*Nel deserto Pompeiano si consacra il Santuario
Quel 24 Maggio del 1891
Presentiamo le pagine più belle del discorso che Mons. Vicentini, Arcivescovo dell’Aquila, pronunciò per l’occasione. I temi di fondo: rinascita di una comunità, carità, pacificazione tra Chiesa e Stato.
Il Santuario di Pompei tra le molte vocazioni, la prima delle quali è certo quella della carità, ha pure quella di essere tribuna dell’episcopato. Bartolo Longo invitava volentieri gli alti prelati, soprattutto del Sud, affinché toccassero con mano la fonte di grazia e di rinnovamento civile che la Madonna aveva suscitata ai piedi del Vesuvio, e ne diffondessero i valori nelle rispettive diocesi. Per la consacrazione della prima chiesa pompeiana, invitò anche l’arcivescovo dell’Aquila, Mons. Augusto Antonino Vicentini, nato nella metropoli abruzzese nel 1822 e che vi sarebbe morto l’anno seguente, l’11 settembre 1892.
C’erano molte ragioni per cui Bartolo Longo nutrisse venerazione e simpatia per il presule abruzzese, che prima di essere arcivescovo dell’Aquila, era stato vescovo di Conversano, in Puglia, ed era un vero apostolo della Dottrina Cristiana, tanto è vero che insieme a Sr. M. Francesca De Santis aveva fondato la Congregazione delle Missionarie della Dottrina Cristiana, il cui scopo era triplice: insegnare il Catechismo a ogni genere di fanciulli, prepararli alla prima Comunione, assistere vecchi e infermi. Questa Congregazione ancor oggi ha la casa madre e la casa generalizia all’Aquila e case in molte località; nella casa generalizia sono conservati i documenti e i libri del fondatore. Altro punto di contatto: Mons. Vicentini fondò la rivista "Palestra Aternina" in fascicoli mensili, molto simile a "Il Rosario e la Nuova Pompei", di cui era lettore abituale; molte antiche copie del nostro periodico sono infatti conservate nelle sue carte all’Aquila. Nella metropoli abruzzese Mons. Vicentini fondò un "Osservatorio geodinamico", soprattutto per lo studio dei terremoti, che meritò gli elogi di Leone XIII, fu inaugurato il 16 marzo 1884 con un’accademia in cui erano presenti tra gli altri due illustri scienziati, il De Rossi e il P. Denza, che fu amico del fondatore di Pompei. Non è da escludere che al Longo abbia parlato con ammirazione il Card. Monaco La Valletta, primo delegato pontificio di Pompei, nativo dell’Aquila, amico e ammiratore del Vicentini.
Il 7 marzo 1891 il Longo invitava Mons. Vicentini a venire a Pompei; questi rispondeva il 12 dello stesso mese, ringraziando anche per l’invio della "Storia del Santuario di Pompei", inviatagli in omaggio e professando umilmente la sua modestia: "Non dissimulo il timore che la mia parola non dovesse esser pari all’importanza della solennità, in paragone d’illustri oratori che la renderanno più splendida con la loro eloquenza". Presentiamo i punti più salienti di questo discorso, che in verità presenta momenti di rara bellezza ed emotività.
Il Testo del discorso
Il discorso di Mons. Vicentini è intitolato "La Chiesa e l’Italia nella Valle di Pompei". Fu stampato dalla Tipografia Vecchioni dell’Aquila, della quale il prelato si serviva abitualmente, porta la data del 1891 ed il titolo: "Discorso pronunciato da Mons. A.A. Vicentini, Arcivescovo di Aquila, nel Santuario di Pompei il dì 24 Maggio 1981, pp. 20. Noi mettiamo tra parentesi il numero delle pagine da cui traiamo i brani riprodotti alla lettera.
L’oratore si mantiene su un tono di elevata ispirazione, con richiami alla storia ed all’ambiente, domandando con accenti di caldo amor patrio la soluzione della Questione Romana, che in quei decenni avvelenava i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.
Parte dal ricordo della permanenza di Leopardi sulle falde del Vesuvio e sull’immortale canto di Leopardi intitolato "La Ginestra o il Fiore del deserto", composto dal Leopardi più o meno una cinquantina d’anni prima, allorché il poeta abitava nella villa che porta anche oggi il suo nome, a pochi chilometri di distanza dal Santuario pompeiano. Esprime la sua ammirazione per il poeta e la sua arte, ma ovviamente non può condividere il suo pessimismo "sull’infinita vanità del tutto", che egli vuol correggere appunto completando la visione poetica, che sosta sul deserto, richiamando la fioritura di vita e di profumo che in pochi anni è esplosa attorno alla città di Maria. Alla ginestra si è ora aggiunta la rosa di Gerico, il cedro del Libano, il fiore del Carmelo; là dove c’era dolore e desolazione, c’è ora gioia e benedizione.
L’oratore si domanda: "Donde siffatta trasformazione e da chi? Allo scetticismo desolante d’una filosofia che pietrifica il cuore umano, ecco la fede irradiata di nuova luce ed ispiratrice di più nobili affetti! Alla infelicità della vita ecco il ricambio di più alti destini per lo spirito umano! Alla minacciata rovina della patri e della Chiesa, ecco la speranza di nuovi trionfi alla Chiesa e alla patria! E donde l’augurio? Da questo nuovo fiore germogliato dalla radice di Jesse che apparso in questa valle da quindici anni si chiama Maria del Rosario! Da questa splendida rosa che del suo misterioso profumo riempie la pianura ed il monte! Dalla celeste Regina che ha prescelto sotto questo storico cielo, e di fronte a quel limpido mare il suo padiglione! È stato per Lei che ci troviamo dalla ginestra alla rosa!
E dalla ginestra alla rosa è il passaggio! Dalla Venere Pompeiana alla grande Castellana d’Italia, come l’ha chiamata un idealista dei nostri tempi! Ed è qui il suo nuovo castello. Qui, dove era il deserto, la privilegiata sua sede per spandere agli agitati popoli una nuova vita di fede e di amore, qui il suo Santuario, preludio di nuove glorie alla cattolica Italia!" (p. 5)
La pace sociale e politica
Mons. Vicentini chiede ai suoi uditori di non meravigliarsi se "in una cattedra sacra e in una congiuntura così solenne, in cui si festeggia Maria del Rosario nel nuovo suo Tempio, debbano da me congiungersi insieme due nomi che oggi più che mai si vogliono affatto separati e divisi, la Chiesa e l’Italia" (p. 6).
In questa dimensione sociopolitica della sua catechesi, l’oratore di fatto accoglie in pieno il cuore del messaggio pompeiano, che consiste nel non isolare la religione rispetto alla concretezza circostante, ma nel fonderla con essa, in maniera che la pace civica favorisca la crescita armonica dell’uomo e della società. Egli traccia un affresco storico nazionale, e grandi scorci, dal quale risulta evidente l’armonia dei due poteri, sorretti maternamente dalla presenza della Madonna.
"Solo l’apostasia, egli dice, può ridere di queste tradizioni e di questa fede infusa e tradotta nei costumi e nei sentimenti nativi del popolo nostro". In questa eredità la venerazione della Madonna gioca un ruolo d’importanza decisiva: l’avvento di Pompei è un punto d’arrivo felice e fortemente producente. Perché?
Qui, Mons. Vicentini accoglie pienamente la tesi di Bartolo Longo, che è poi quella che Leone XIII ha espressa in una dozzina di encicliche dedicate al Rosario: il Rosario, cioè, è l’arma di vittoria contro le eresie e le deviazioni di tutti i secoli cristiani. In verità a questo punto l’oratore imbraccia la spada della polemica e del rigetto della secolarizzazione e della ripaganizzazione d’Italia.
Dice il Vicentini: "Ebbene quando il tramonto del secolo si chiama progresso il ritornare venti secoli addietro all’antica civiltà pagana, quando il naturalismo invade un’altra volta la società e ne prepara inaspettate rovine, quando nuove e più terribili eruzioni minacciano d’inabissare il mondo morale e civile, quando la chiesa si annunzia morta e sepolta, e la patria in preda a convulsioni titaniche: ecco Maria corre un’altra volta in aiuto, e sotto l’antico monte dove il soffio di Dio accese il fuoco dello sterminio, il fuoco di Sodoma e Gomorra, Ella solleva il tabernacolo della misericordia per annunziare una nuova vita alla Chiesa e raffermare la sua predilezione all’Italia" (p. 10).
Questo quadro apocalittico non è tracciato per scoraggiare, ma per rilanciare l’entusiasmo cristiano: ciò tanto nell’oratore, che nel fondatore di Pompei. Infatti è proprio dalla nuova realtà pompeiana che la risurrezione della Patria riprenderà slancio: "Dopo tanti secoli, ecco la Nuova Pompei, nel cielo Campano, nella valle del Sarno, di dolcissimo odore nuovo profumo, che il deserto consola" (p. 12).
La rinascita nazionale
Il nuovo tempio pompeiano è per l’appunto il motore della ricostruzione cristiana della società, cominciando da quella nazionale. A questo punto ci si consentirà di richiamare una bella pagina, piuttosto estesa, del discorso vicentiniano: essa può essere indicata come la dimostrazione del valore sociologico e politico del Rosario.
Egli dice: "Ma chi non ne vede la vera ragione nell’effetto, nella venerazione e nella riconoscenza del popolo italiano a Maria, venerazione e riconoscenza di cui rimarrà monumento imperituro questo Tempio che sarà preludio di novella vita al secolo che si avvicina? E questo dimostra quello slancio universale di fede che in quindici anni è quasi protesta contro i nuovi Iconoclasti ed è segnale di nuovi avvenimenti al secolo imminente!
Quando si proclama che la fede è morta, quando s’intima l’ultima battaglia alla Chiesa, quando da ogni parte si ripete che l’Arca di Dio è caduta in mano de’ Filistei, ecco per altrettanti gradini quanti sono i misteri del Rosario, dai gaudiosi si passa ai dolorosi, e da questi ai gloriosi che nell’itinerario della Chiesa ricorrono come i flutti del mare che dopo la tempesta si ricompongono in una tranquilla bonaccia. Sono i corsi e i ricorsi sui quali ha voluto Iddio galleggiasse la mistica nave, per mostrare a dati periodi la vitalità della Chiesa, e con pari analogia confermare ciò che disse Bonaventura della patri nostra: "Italia tentata aliquando, mutata nunquam! Di qui la sapienza di un Pontefice che di fronte alla lotta medesima ricorre alle armi stesse, e fa appello al Rosario quando tutto il popolo nell’ora del pericolo, come per istinto, ricorre a Maria!" (pp. 13-14).
L’arma del Rosario, egli prosegue, sotto la bandiera di Maria, specialmente quella di Lepanto (1571), "ci diede i grandi guerrieri, gli illustri pubblicisti e i diplomatici più celebrati in Europa". L’esplosione di grazie che si è verificata a Pompei è la garanzia del rinnovamento di questa fioritura, che nel contempo è religiosa, culturale, sociale e politica. Egli infatti soggiunge: "Era vita e quella è vita intellettuale, che arricchì le nostre biblioteche, vita morale che garantì la libertà dei cittadini, vita sociale che fondò l’indipendenza dei Comuni e le grandi repubbliche. E come col Rosario alla mano la Spagna si liberava dai Mori, col Rosario il Portogallo annunziava la loro sconfitta nelle pianure dell’Alentejo, così l’Italia con l’Ave Maris stella ricacciava la luna Ottomana sui lidi del Bosforo!
Or con siffatte memorie sarà ingenuità la nostra o piuttosto una fondata speranza il credere che intorno a questo Santuario possano rinnovarsi le stesse glorie e gli stessi prodigi? Non dovremmo vedere con gli occhi nostri tante migliaia di credenti, che vengono ogni giorno, a ringraziare Maria, non dovremmo udire intorno a queste mura il canto innocente delle orfanelle che alla regina delle vittorie intrecciano il loro rosario; non dovremmo vedere nuove case di operai che domandano a Maria la benedizione del lavoro, nel momento che altri per scioglier il loro problema ricorrono alla dinamite e al petrolio; non dovremmo ammirare tanti edifici che accennano ad una nuova città che il secolo ventesimo troverà distesa ed ampliata in questa valle che prima era deserto, e la chiamerà civitas perfecti decoris et gaudium universae terrae! E dove ripeteranno i posteri – Benedicti erunt qui teaedificaverunt, e rivolti a Maria canteranno esultanti: tu autem laetaberis in filiis tuis! (pp. 15.16).
L’auspicio per due secoli, anzi per tre
Le legislazioni, soggiunge il Vicentini, negli ultimi decenni, sono state avverse alla fede. Fatica inutile dei legislatori, i quali "possono tradurre in legge la loro apostasia, ma tali leggi non sono che un suggello di cera lacca sopra un vulcano, come disse un giorno il compianto Win dthorst", vale a dire che la storia e la fede scioglieranno come cera al fuoco queste legislazioni ingiuste. La parte finale del discorso è un auspicio di rinnovamento globale sotto la protezione della Vergine di Pompei. Mons. Vicentini ne invocava la benedizione sull’Ottocento che ormai era alla fine, esattamente cent’anni fa, e sul Novecento, che volge alla fine ora, sotto i nostri occhi. Crediamo sia perfettamente legittimo estendere questo auspicio anche al Terzo Millennio, che già vediamo spuntare all’orizzonte: ci separano da esso appena nove anni.
Mons. Vicentini così concluse il suo discorso: "E l’ordine, la prosperità e la pace per noi, pei nostri nepoti e pei futuri, non è che Maria del Rosario! Essa è la stella dell’alba che fiammeggia sull’oriente e manda alla nuova Pompei il primo suo raggio. Essa è il Sole che nel pieno meriggio riscalda i cuori anche più freddi che non palpitavano di amore. Essa è la luna novella che nella notte dell’errore viene a dissipare le tenebre che offuscano le menti: e se Maria è sola bellezza ed armonia nell’ordine di natura e di grazia, sarà dessa che darà la consegna del secolo muore e quello che nasce! Non è dubbio che i due secoli fra poco si troveranno di fronte, come i due campi che si contrastano il dominio del mondo – Da una parte i figli dell’Eva antica, i figli della carne e del sangue che nella vecchia Pompei non trovando la civiltà antica e scrutando le vecchie rovine non vi scovrono se non il serpe che vi si annida e vi si contorce. Come dicea Leopardi, il serpe che si ciba di terra e porta nel suo capo la maledizione di Dio! È il nome dei Babilonesi e degli egiziani, ma non fu mai delle genti latine. Dall’altra parte i figli della fede e della grazia che adorano la Vergine che col niveo piede ha schiacciato quel rettile, ed oggi nella nuova Pompei la invocano aiuto dei Cristiani. Si troveranno così le due città di fronte che raffigureranno l’alta idea di Agostino nelle due città che si disputano l’impero del mondo, la città del male e quella del bene, la città di Satana e quella di Dio, la città della morte e quella della vita, l’una su cui trionfa la giustizia, l’altra in cui domina la misericordia, la prima distrutta dal fuoco, l’altra vivificata dalle acque della grazia.
Insomma la vecchia e la nuova Pompei! Salutiamo dunque nella valle della benedizione la regina delle vittorie che nella valle di Engaddi confonderà i Moabiti ed i Sirii: salutiamo la Vergine che restituirà nuova vita alla Chiesa ed alla patria nell’accordo del laicato col sacerdozio e della civiltà con la Religione: salutiamo il trionfo di cui questo Tempio sarà monumento ai popoli dell’unità della fede e dell’amore!" (pp. 18-20).
Il lettore non si lasci troppo impressionare da questa robusta contrapposizione tra sacro e profano, tra Chiesa e società. È un frutto della situazione storica dilacerata della fine dell’Ottocento. D’Altronde sappiamo che Mons. Vicentini fu uno dei prelati più "dialogici" del suo tempo, e ne avremo una dimostrazione evidente allorché prossimamente ci occuperemo dei suoi rapporti con gli anticlericali e i laicisti del suo tempo.
Ma anche l’entusiasmo oratorio aveva i suoi diritti; ed il sacro oratore del 24 maggio 1891 giustamente ne tenne conto. (Autore: Rosario F. Esposito)
Prima foto: La primitiva facciata del Santuario di Pompei ancora in costruzione, in una foto del 1884.
Seconda foto: Mons. Augusto Antonino Vicentini, Arcivescovo dell’Aquila (1822-1892), apostolo della Dottrina Cristiana, della scienza, della pacificazione sociale.
Terza foto: Sr. M. Francesca De Sanctis (1836-1916), cofondatrice con Mons. Vicentini, dell’Istituto della "Dottrina Cristiana".
*Inaugurazione della facciata del Santuario di Pompei
Quel 5 Maggio del 1901
"La Sposa dalla faccia bella"
Con queste parole Bartolo Longo indica l’inaugurazione della facciata della Chiesa di Pompei. Il monumento fu costruito con offerte raccolte in tutto il mondo mediante moduli di sottoscrizione ricoperti da oltre 4 milioni di firme.
"Fratelli e sorelle sparse per l’orbe, il Monumento promesso è già innalzato: io vi aspetto il 5 Maggio, prima domenica del mese sacro alla regina del Rosario di Pompei di questo anno giubilare del Santuario pompeiano (1876-1901).
L’invito, o fratelli, è per voi. Il voto, per me. L’augurio per tutti. Vorrei che la mia lingua sapesse tradurvi tutta la foga dei sentimenti, di speranza, di conforto, di giubilo, di vittorie, che si avvicendano nella mia mente e nel mio cuore ogni volta che mi pongo a pensare quel giorno solenne e memorabile, quando si mostrerà la "bella faccia" di questa novella sposa di Cristo. Io amo la Chiesa di Pompei come sposa dell’animo mio a cui ho consacrato tutti gli aneliti e gli affetti più vivi del mio cuore. Essa è l’oggetto dei desideri per tanti anni nutriti, tra le ansie e le trepidazioni di un cammino arduo e difficile; ed essa sarà la corona della mia vita" (B.L.).
Abbiamo raccolto qua e là degli scritti di Bartolo Longo, pubblicati al cadere del secolo scorso e, di proposito ci asteniamo ad ogni commento per evitare di materializzare espressioni così preziose di intensa spiritualità: l’incanto mistico di un cuore così ardente di fede.
Autore del progetto della facciata, fu il Cav. Giovanni Rispoli, napoletano, "ormai per Lui il Tempio di Pompei è la cosa più cara che abbia al mondo. Che i risultati ottenuti gli siano di sprone a raggiungere quella meta che tanto agogna, e che formar dovrà la pagina più preziosa della sua vita artistica" (B.L.). Il Rispoli, professore onorario del Regio Istituto delle Belle Arti di Napoli, architetto di valore, artista geniale, concepì la grande facciata del Santuario Pontificio Pompeiano con amore infinito; sorretto da fede profonda ne diresse magistralmente i lavori alla guida di uomini di fatica, di operai, di artisti.
"Con sentimenti di ammirazione e di gratitudine segnaliamo i nomi della gloriosa falange di artisti, impresari, capi d’arte e fornitori della Facciata Monumentale del Santuario di Pompei.
Uomini valorosi, cui tributiamo il nostro reverente saluto e quello degli innumerevoli devoti di questo Santuario" (B.L.).
Il materiale per la costruzione, era tutto di origine italiana. Bartolo Longo, con orgoglio quasi campanilistico, in un appunto aveva scritto: "Tutto materiale italiano e lavorato da operai italiani in maggior parte della provincia di Napoli e Salerno". Per la facciata in prevalenza fu impegnato il travertino. Il calcare fu estratto dai fianchi del Monte Tifata, della catena degli Appennini, presso Capua. È uno dei migliori travertini: basti pensare che di esso si servirono Masuccio II, nel 1328, per la costruzione della famosa torre campanaria di S. Chiara in Napoli e, nel 1752, il Vanvitelli per la famosissima Reggia di Caserta. Le cave però erano state abbandonate; B. Longo, con enorme dispendio, le rinnovò affinché la facciata del Santuario di Pompei fosse costruita con gli stessi materiali già adoperati per il Campanile così famoso e per una Reggia così splendida. Al travertino si aggiunse il granito di Gravellona-Toce, ed il bianchissimo marmo di Carrara. Solo per le due piccole colonne che decorano la loggia papale, fu impiegato, per la prima volta in Italia, il granito rosso di Finlandia. Gli unici due pezzi stranieri sulla facciata del Tempio. A tale proposito B. Longo scrisse: "Anche la Russia ha avuto il suo contingente di benefici: pochi benefici spirituali invero, poiché il suo governo non permette la diffusione di stampe cattoliche, ma la Russia ha mandato le colonne preziosissime di granito rosso della Finlandia che adornano la loggia papale della facciata ed ha ricevuto in cambio l’oro di questo Santuario". "L’opera pompeiana è l’opera della pace universale, 1900).
La spesa complessiva sostenuta per la costruzione dell’intero Monumento ammontò ad un milione e settecentomila lire; era costruita dalle generose offerte raccolte in tutte le parti del mondo mediante moduli di sottoscrizione ricoperti da oltre quattro milioni di firme. I moduli, rilegati, formano una serie di otto grossi volumi e rappresentano il plebiscito dei popoli per la pace universale, secondo il concetto espresso dal promotore del plebiscito stesso: l’Avvocato Bartolo Longo.
La cerimonia dello scoprimento della facciata era stata fissata per il 5 Maggio del 1901 alle ore 12. Il programma della solenne inaugurazione del Monumento, pubblicato in marzo dello stesso anno, prevedeva, tra l’altro, a grandi linee: L’esecuzione dell’inno della pace universale ed il discorso di Bartolo Longo incentrato sul ringraziamento solenne delle persone che con la fiducia in Lui, con l’offerta e la fede, avevano consentita la realizzazione di un’opera oltremodo ardimentosa. Alle ultime parole dovevano cadere gli ampi velari che coprivano la novella facciata mentre echeggiavano le note della marcia trionfale eseguita dalle bende musicali riunite; in concomitanza, le campane del Santuario, suonando a distesa, avrebbero annunziato a tutta la Valle del Sarno l’inaugurazione del Monumento alla Pace. Non sarebbero mancati i rituali spari di mortaretti e l’accensione di una miriade di bengali. A chiusura, nutriti stormi di colombi viaggiatori, sprigionati dalle arcate della loggia, avrebbero raggiunto, forieri della lieta novella, le città lontane.
Il programma fu rispettato con meticolosa puntualità. Il 5 Maggio alle ore 12 precise, gli ampi velari che coprivano la facciata caddero; immenso fu lo stupore della folla che si accalcava sulla piazzetta antistante, sui balconi, sui terrazzi dei caseggiati; quelli più lontani si erano persino muniti di binocolo. Il discorso di Bartolo Longo commosse tutti; a noi piace riportare testualmente un passo, forse il più accorato. L’oratore si rivolge agli operai. "Operai, fratelli miei che per venticinque anni siete stati a me vicini ed insieme abbiamo lavorato, voi con le braccia ed io con la mente, tutti con amore. Fratelli operai, oggi il nostro lavoro è compiuto. Noi ci dovremmo separare, ma i nostri cuori non saranno giammai separati, tra noi ci sarà un perpetuo legame: Gesù Cristo, il primo operaio che è pure la nostra comune aspettazione. E quando io scenderò da questo luogo e mi avvicinerò a quel Monumento, che voi con tanto amore avete lavorato, io bacerò il piedistallo della prima colonna, e baciandolo intendo baciare ed abbracciare tutti gli operai che hanno messo mano a questo Monumento" (B.L.).
Il Maggio del 1901 compendiava i primi 25 anni di storia dell’opera religiosa e sociale in Valle di Pompei; un’impresa singolare sorta nel mezzogiorno d’Italia tramite l’erezione di un Santuario redimito di prestigiose istituzioni sociali, caritative, educative. Si concludeva il primo grande ciclo dell’avventura pompeiana di Bartolo Longo. Un quarto di secolo storicamente più importante, essenziale, più fruttuoso perché ispirato e guidato dalla Provvidenza. (Autore: Nicola Avellino)
Prima foto: il Monte Tifata con ruderi dell’acquedotto di Capua. Olio su rame 36 x 25, di J. P. Hackert (1737-1807).
Seconda foto: La cava del Monte Tifata. Bartolo Longo la rimise in funzione per estrarvi il travertino necessario per la costruzione della facciata della Basilica.
50° Anniversario del Santuario
"Nel 1934 ho iniziato a lavorare, quale scalpellino in architettura, nella Basilica di Pompei, fino al 1939. Ho trattato pietre provenienti da tutto il mondo: dal Belgio, dalla Francia, dall’Australia, dal Canada, dalla Russia, da Trani, da Carrara e dal Piemonte con il suo granito cipollino o rosso".
È la viva testimonianza del sig. Marino Machetti, anni 76, che venne a lavorare per l’ampliamento del Santuario di Pompei, un anno dopo l’inizio dei lavori e che ancora oggi, quando entra in Chiesa, tutte le sere per la Messa prova "una grande emozione nel vedere le colonne" che egli stesso ha contribuito a mettere in opera (30 tonnellate ciascuna), con una fatica certamente improba, se si pensa che i mezzi tecnici non erano quelli attuali.
Dinanzi allo straordinario, crescente, - forse anche inatteso nella consistenza – coinvolgimento dei fedeli, dinanzi all’interesse del mondo per Pompei, l’originario disegno del luogo di preghiera formulato da B. Longo si rivelava ormai inadeguato, insufficiente: di qui il dilemma se optare per una nuova Chiesa o ampliare quella già officiante. Non si trattava, infatti, di semplice problema di spazio, ma anche di rispetto verso l’esistente, e cioè verso quella struttura eretta da B. Longo e consacrata nel 1891, che era costata sudore, sacrifici, impegni, entrata a far parte ormai della memoria della marianità del popolo, costituita oggi dalla navata centrale fino alla crociera.
Prevalse così la seconda ipotesi: l’architetto archepito fi Mons. Spirito Chiappetta, delegato espressamente dal Vaticano. "Con me, prosegue Marino Machetti, hanno lavorato i geometri Rossi e Bellone, proveniente quest’ultimo da Milano, c’erano Masto Michele (Capo ferraiolo), l’assistente Giardini, che curava la muratura ed Erminio, che curava la carpenteria, c’era Pietro Vitiello che ha fornito puzzolame, breccia, arena e che trasportava tutto il materiale con traini e carrette".
Dietro tutto questo, il Prelato Mons. Anastasio Rossi, Patriarca con la sua fermezza, la piena consapevolezza di dover dare alla preghiera del Rosario e della Supplica un’atmosfera di più ampio respiro, più preziosa persino nei particolari, generosa nei marmi delle colonne, nelle pitture. "I meravigliosi affreschi dell’abside, della cupola e di quant’altro pertinente la lunghezza della Basilica, furono eseguiti in gran parte dall’emerito pittore prof. Landi. Il rivestimento in rame della cupola centrale e di quelle laterali più piccole, fu eseguito dalla ditta Ascolese da Sarno. Per ampliare fu eliminata la vecchia sacrestia, il corridoio che immetteva nella canonica dei sacerdoti e un ampio giardinetto… anche la scala di accesso per salire in Prelatura fu abbattuta…".
È il prof. G. Clemente che parla con i suoi ricordi, la voce emozionata dei suoi 78 anni. I tempi di attesa i pompeiani li trascorrevano seguendo le trasformazioni che i lavori creavano nel monumento, mentre raccoglievano e ricevevano i contributi che la Provvidenza non aveva mai lesinato. Dall’inizio dei lavori, il 2 ottobre 1933 ultimo dei 15 sabati in preparazione alla festa del S. Rosario, alla consacrazione del 6 maggio 1939, sarebbero passati quasi 6 anni.
"La nuova Chiesa che viene a coprire una superficie di circa 2.000 metri quadrati è cinque volte più grande della precedente che misurava solo 421 mq. La cupola si spingeva a soli 29 metri di altezza, mentre l’attuale innalza la sua croce a 57 metri dalla piazza"; è quanto si legge in una monografia del 6 maggio 1939, quando il Cardinale Luigi Miglione, segretario di Stato di Pio XI, il Papa dei progetti arditi, compie la consacrazione.
Dalle pagine del periodico, nel numero maggio/giugno 1939, parte lòa descrizione del grande avvenimento, ripreso, peraltro, dai giornali del tempo, diffuso radiofonicamente. Si trattò di un momento edificante, perché l'ampliamento del’a Basilica, al di là della sua valenza erchitettonica e della sua preziosità estetica, costituiva la prova tangibile che il messaggio mariano affacciatosi quasi immediatamente nella realtà locale, per essere ascoltato aveva richiesto una casa più grande, un maggior numero di confessionali, una schiera più fitta di nsacerdoti per celebrare, per ascoltare, per diffondere la parola di Dio. Si trattava del miracolo della preghiera, dell’arte, dell’ascolto, della generosità, tutti aspetti che a dieci lustri di distanza si inseriscono in una realtà mariana immutata nello spirito, anche se al passo con i tempi. (Autore: Luigi Leone)
50° anniversario dell’ampliamento del Santuario
Cinquant’anni fa il Santuario della Vergine del Rosario era cinque volte più piccolo di quello attuale.
Il tempio che lo stesso Fondatore, il Beato Bartolo Longo († 1926), aveva costruito dal 1876, posa della prima pietra, al 1891, si era rivelato insufficiente ad accogliere i devoti che a migliaia affluivano a Pompei. Si rendeva necessaria una soluzione.
All’ipotesi di un nuovo Santuario, si preferì, per ragioni affettive, procedere all’ampliamento di quello già esistente.
Il progetto dell’architetto, sac. Spirito M. Chiappetta, conciliò le varie esigenze. Occorsero sei anni di duro lavoro (1934-1939), ma i risultati furono estremamente lusinghieri. Il 7 maggio 1939, il nuovo tempio fu consacrato e dedicato da Sua Eminenza il Cardinale Luigi Maglione, Segretario di Stato di Pio XII.
Cinquant’anni, da allora, sono trascorsi e milioni di pellegrini e visitatori hanno con diversità di accenti espresso il loro amore alla vergine ed hanno imparato, guidati da Lei, ad essere "pietre vive" dell’edificio spirituale che è la Chiesa di Cristo.
È quanto ha voluto sottolineare il Cardinale Opilio Rossi, Presidente della Commissione cardinalizia per i Santuari di Loreto, Bari e Pompei, intervenuto alla celebrazione dell’anniversario: "Quello dunque che noi ammiriamo qui costruito materialmente deve richiamarci ad una ben più alta realtà, che pulsa all’interno dell’anima nostra; quello che vediamo qui fatto con pietre, deve avvenire, mediante la divina grazia, nei nostri cuori.
Dobbiamo essere consapevoli di appartenere all’unica Chiesa di Cristo e di sentire di conseguenza il dovere di essere pietre viventi sviluppando in noi quelle virtù che ci qualificano veri cristiani di fronte al mondo, forti nella fede, consolidati nella speranza, compaginati nella carità.
Saremo così pietre inserite nel mirabile edificio di Dio, di cui questa nostra sontuosa basilica è immagine". (Autore: Pasquale Mocerino)
Le 2 foto: Per i lavori dell’ampliamento della Basilica furono necessari sei anni d’intenso lavoro. L’attuale superficie del tempio è di circa 2000 mq. Contro i 421 del precedente, e può accogliere più di 4000 persone. Oggi, più di tre milioni di pellegrini e visitatori lo visitano annualmente.